Un saggio del Cinquecento svela i prodigi del vino in quell’epoca

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di Maria Mattina

Un viaggio nel tempo fino al Cinquecento, per riscoprire un libro che è un documento importante per la storia del vino e che ci dà pure lo spaccato culturale di un’epoca: si beveva anche allora dovunque, a corte o tra la povera gente, il succo magico e misterioso portava con sè nozioni di filosofia, medicina, miti e morale.

Che il vino abbia una storia lunghissima (le tracce più antiche che parlano di uva destinata alla produzione di vino risalgono a circa 7.000 anni fa nella terra delle attuali Georgia, Armenia e Azerbaigian, il Caucaso) e che da sempre abbia accompagnato gli uomini e la loro evoluzione sono due affermazioni innegabili. Che per secoli sia stato usato sia per scopi ricreativi, nei banchetti e durante le feste è chiaro a tutti.

Invece che sia stato usato anche per scopi medicinali forse non è noto a tutti. Ne parla in particolare Giacomo Profetto, medico-filosofo siciliano originario di Noto, poi passato a Napoli ad insegnare filosofia e medicina e quindi chiamato a Roma nello stesso anno dell’elezione a pontefice di Alessandro Farnese (1534) e nominato archiatra pontificio di Paolo III. La sua opera è il trattato “Sulla natura dei diversi tipi di vino” (“De diversorum vini generum natura”), “gioiello letterario” del Cinquecento italiano scritto in forma di dialogo.

Il testo, un’opera unica nel panorama dell’epoca, venne pubblicato a Venezia nel 1559, ma sembra che il testo circolasse a Roma già prima della sua stampa. Viene ora riscoperto e pubblicato dalla sempre attenta casa editrice Olschki in un interessantissimo volumetto (110 pagine, 15 euro) con le accurate introduzione, traduzione e note di Lucio Coco.

E’ un trattato che si apre con un inno a Bacco e al piacere, pur consigliando un consumo moderato, e nel quale sono condensate tutte le cognizioni sul vino – letterarie, storiche, terapeutiche – prodotte fino a quel momento.

Nelle pagine di questo testo si trovano le indicazioni delle differenze tra i diversi tipi di vino (quasi come la compilazione di una scheda tecnica). Dalla distinzione tra i diversi vini, bianchi, rosati e rossi, con le differenze di consistenza, colore, olfatto alla capacità di ogni tipologia di trovare una ragionevole modalità curativa per i diversi malanni.

“Le differenze dei tipi di vino sono poste nel colore, pertanto chiamiamo un vino bianco, pallido, rosato, biondo, rosso e nero. Alla stessa stregua per quanto riguarda il sapore lo definiamo dolce, forte, aspro; mentre l’odore può essere gradevole, pesante oppure assente; per quanto riguarda il corpo i vini possono essere spessi oppure leggeri”. Sembra di leggere una moderna scheda tecnica da degustatore!

Non sono esclusi i consigli: mai bere a stomaco vuoto, sempre farlo con moderatezza, mai dare del vino a bambini o adolescenti (almeno fino ai 18 anni) e fare il giusto abbinamento a seconda del cibo che si sta mangiando. Certamente l’indicazione di “allungare” il vino con l’acqua per renderlo più digeribile adesso ci fa sorridere, così come il fatto che il “vino rosato sia adatto agli anziani, per conservare la salute perchè favorisce la digestione ed è più caldo di quello bianco”, ma tante altre indicazioni sono di una enorme attualità.

All’autore era già chiara la differenza sostanziale che produce le diverse tipologie di vino, data dalla diversità delle acque e da quelle dei suoli, condizione che fa sì che “i tipi di vino siano quasi infiniti”, a motivo delle “innumerevoli regioni, terreni, colline, città e villaggi” dove sono prodotti. “Infatti in ogni regione cambia molto la proprietà a seconda dei luoghi, del terreno e del sito, ragion per cui le stesse viti, piantate in terreni differenti, producono un vino differente”. Una lezione di enologia sempre valida.

Bere si, ma con moderazione, in quanto “a causa del bere smodato, consegue che il cervello e il fegato sono danneggiati, mentre i nervi si indeboliscono”. Invece “il vino bevuto con moderazione permette di assimilare ciò che è semi-crudo (…), concilia il sonno ed è stimolo dell’ingegno”. E ancora: “Il consumo eccessivo di vino produce, ira, guerre, dolori, follie e cose simili, berne con moderazione rende l’intelligenza, la memoria, il giudizio degli uomini e anche la forza d’animo più alacri e pronti all’azione”.

Ampia la lista dei vini presa in considerazione da Profetto: il falerno, l’albano secco e dolce, il sorrentino, il reggino, il priverno, il formiano, il trifolino, lo statano, il tiburtino, il labicano, il gaurano, il prenestino, il massico, l’urbano, l’anconetano, il bussentino, l’euliterno, il caleno, il cecubo, il fondano, il sabino, il signino, il nomentano, lo spoletano, il capuano, il barino, il caulino, il venafrano, il trebellico, l’elbulo, il massalitano, il tarantino, il mamertino. Un prezioso catalogo di nomi, in parte giunti fino a noi. Un accenno è fatto anche alle altre tipologie di alcolici e tra queste alla birra.

Tra i tanti consigli medicinali e farmacologici legati al vino (che sembrano quasi volerci farci sorridere) c’è una curiosità interessante. Alla domanda perchè gli ubriachi inciampino con la lingua, l’autore risponde “per l’umidità del vino la lingua si inzuppa come una spugna piena d’acqua e per l’enfiezza e lo spessore non può pronunciare un discorso articolato”. In sostanza, un grande elogio del vino che, scrive l’autore, “espelle dal cuore le tristi cure, rafforza gli animi, restituisce le forze, reca gioia, rende acuto l’ingegno”.

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