In giro per l’Emilia: enoturismo nei territori del Lambrusco
di Maria Mattina
Si scrive Lambrusco, si legge Emilia. Forse mai come in questo caso un vino famoso in tutto il mondo si lega in modo iconico al suo territorio e diventa testimonial di una terra ricca di eccellenze turistiche e gastronomiche, basti pensare all’aceto balsamico di Modena e al parmigiano reggiano. Lo scrittore Mario Soldati lo definiva “l’umile champagne dell’Emilia”, per Luciano Pavarotti era “uno spumante selvaggio e ineducato”. In questo articolo troverete storia, curiosità e una piccola guida alle cantine del Lambrusco, se vorrete intraprendere un giro enoturistico in Emilia.
Il Consorzio di Tutela e la Sicilia
C’è innanzi tutto da sottolineare che per difendere la tradizione e rilanciare l’immagine, a gennaio 2021 si è formato il Consorzio di Tutela (inglobando tre enti precedenti) in modo da coordinare al meglio le iniziative per sottolineare la ricchezza del Lambrusco, la sua versatilità e la possibilità di abbinamento con menù regionali anche lontani dall’Emilia. In collaborazione con il Gambero Rosso una manifestazione con questo obiettivo – dopo varie tappe in altre regioni – si è tenuta a Bagheria lo scorso novembre presso il ristorante Limu e un’altra iniziativa viene preannunciata a Palermo per il prossimo maggio. Provare per credere: il Lambrusco va benissimo in abbinata anche con la fritturina di pesce di paranza o le panelle…
Iniziative al Vinitaly
Intanto il Consorzio Tutela Lambrusco si prepara anche a partecipare al Vinitaly, il Salone Internazionale dei vini e distillati e manifestazione di riferimento per il settore che quest’anno è in programma a Veronafiere dal 14 al 17 aprile. Se passate di là, come ogni anno il Consorzio Tutela Lambrusco sarà presente all’evento nel Padiglione 1 dedicato all’Emilia-Romagna, insieme ad una selezione di cantine del territorio, dalla provincia di Modena a quella di Reggio Emilia.
Presso lo stand consortile (B4-C4) ci saranno 16 produttori che presenteranno a operatori e professionisti italiani e internazionali le novità e le etichette più rappresentative delle sei Denominazioni del Lambrusco: dal Lambrusco Grasparossa di Castelvetro al Lambrusco di Sorbara, dal Lambrusco Salamino di Santa Croce alle DOC Modena, Reggiano e Colli di Scandiano e di Canossa. La quattro giorni sarà un’occasione per scoprire attraverso il racconto delle cantine presenti all’appuntamento le diverse declinazioni dei vini Lambrusco, dal frizzante allo spumante prodotto sia col metodo Charmat che con il metodo classico.
“Siamo felici anche quest’anno di partecipare al Vinitaly, un appuntamento ormai consolidato negli anni per il Consorzio Tutela Lambrusco – spiega Claudio Biondi, Presidente del Consorzio -. Nel nostro stand consortile verrà evidenziato come questo vino dalle qualità uniche sia sempre più amato anche a livello internazionale per la sua versatilità. Grazie alla masterclass guidata dal Master of Wine Gabriele Gorelli, in lingua inglese, martedì 16 alle 12,30 si potrà ottenere in una sola ora una prima panoramica dell’universo Lambrusco”. Lunedì 15 alle ore 12,30 in programma anche la degustazione “Cromoterapia emiliana” che accompagnerà i visitatori alla scoperta di due eccellenze del territorio emiliano accostando i vini lambrusco in diverse denominazioni e il Parmigiano Reggiano in stagionature differenti.
Ad arricchire ulteriormente il palinsesto, il 16 aprile alle 14,30 una tavola rotonda con assaggi dedicata alle nuove generazioni del Lambrusco porrà il focus su frizzanti e spumanti e sul loro consumo da parte dei più giovani. L’appuntamento, dal titolo “Lambrusco talks: giovani produttori e vini a confronto su bollicine e nuove generazioni” è organizzato da Assoenologi sezione Emilia in collaborazione con il Consorzio Tutela Lambrusco. Interverranno alcuni produttori di Modena e Reggio Emilia con la moderazione della consulente in digital marketing Sara Piovano. Le masterclass sono riservate a stampa e operatori e si terranno nella Sala Masterclass ubicata al centro del Padiglione 1. Per partecipare, fino ad esaurimento dei posti a disposizione, è possibile iscriversi tramite gli appositi form, accessibili nella sezione news del sito www.lambrusco.net (è necessario essere già in possesso del biglietto di ingresso alla manifestazione).
Queste le cantine presenti nello stand del Consorzio Tutela Lambrusco, Pad. 1 stand B4-C4: Cantina di S. Croce, Cantina Settecani Castelvetro S.C.A., Cleto Chiarli, Corte Manzini, Fattoria Moretto, Quintopasso, Rinaldini, Soc. Agr. Garuti, Soc. Agr. Vezzelli Francesco, Tenuta Aljano, Tenuta Forcirola – Francesco Bellei & C., Tenuta Vandelli, Tenute Campana, Venturini Baldini, Villa di Corlo, Zanasi Società Agricola S.S. Altre aziende associate al consorzio saranno presenti in fiera con un proprio spazio autonomo.
Un po’ di cifre
Il Consorzio è un ente di tutela che rappresenta 70 produttori e le Denominazioni tra Modena e Reggio Emilia. Un totale di circa 16.600 ettari vitati nelle due province, di cui circa 10.000 dedicati al Lambrusco, e una produzione che nel 2022 si è attestata su oltre 40 milioni di bottiglie di Lambrusco DOC. In aggiunta a questi quantitativi, vanno considerati oltre 100 milioni di bottiglie di Lambrusco Emilia IGT, che rientrano nell’ambito di tutela del Consorzio Vini Emilia.
Il Consorzio Tutela Lambrusco, come accennato, nasce a gennaio 2021 dall’operazione di fusione per incorporazione dei tre precedenti enti di tutela del famoso vino emiliano, ovvero il “Consorzio Tutela del Lambrusco di Modena”, il “Consorzio per la Tutela e la Promozione dei Vini DOP Reggiano e Colli di Scandiano e Canossa” e il “Consorzio di Tutela Vini del Reno D.O.C.”. Il Presidente è Claudio Biondi, il Vicepresidente Davide Frascari e il Direttore Giacomo Savorini.
“Quello che ha portato all’unificazione del variegato mondo del Lambrusco è stato un percorso molto lungo: ora il nostro obiettivo è portare avanti le strategie di comunicazione e i progetti di promozione più efficaci, sia a livello nazionale che internazionale, continuando ad apportare un contributo in un settore che, come tutti, ha subito i contraccolpi della pandemia”, commenta il Presidente Claudio Biondi.
La brand identity
Si va in sostanza in cerca di una nuova “brand identity” soprattutto in regioni come la Sicilia dove il Lambrusco è un mito ma ancora poco conosciuto nella realtà. Il Consorzio ha creato infatti anche una nuova identità visiva, che dà ora volto all’ente in tutti i contesti nei quali è chiamato ad agire. Una “brand identity” che fonde alcuni degli elementi essenziali del territorio e del vino che rappresenta, con le tonalità di colore che il Lambrusco assume a seconda delle tante anime di quest’uva: dal rosa chiaro, al rubino, fino al porpora e a quelle che richiamano i caratteristici piccoli frutti rossi, il cui aroma è uno dei fattori più identificativi delle sue bolle. Il capolettera L, l’iniziale di Lambrusco, è poi posizionato all’interno del nuovo brand dalla forma sinusoidale. “Una forma che vuole richiamare il movimento brioso delle bollicine presenti in tutte le versioni di Lambrusco e, allo stesso tempo, ricorda quasi un sigillo, come quelli in ceralacca che chiudono le lettere e i regali più intimi e preziosi”, conclude il Presidente.
“Il Lambrusco è il vino dei colori, uno diverso dall’altro – aggiunge il Direttore del Consorzio Tutela Lambrusco Giacomo Savorini – Nel mondo è identificato come un vino rosso scuro frizzante: abbiamo l’esigenza di far comprendere che esistono tante varietà di lambrusco, con colori e sentori diversi, che possono veicolare esperienze completamente differenti e che, grazie alla loro versatilità e ampia gamma di referenze di qualità, si possono perfettamente abbinare a diverse e numerose tipologie di cucina”. Nel 2022 è stato lanciato il nuovo sito web www.lambrusco.net: una vetrina nata per raccontare le peculiarità delle sei denominazioni del Lambrusco.
Un po’ di storia
Chiarito che stiamo parlando del vino italiano più venduto nel nostro Paese e più esportato nel mondo, vi apparirà normale che le prime testimonianze della vitis labrusca risalgano a duemila anni fa, quando Virgilio ne scrisse nella sua quinta bucolica.
E si è andati avanti senza soste visto che uno scritto del XVI secolo afferma che “sulle colline di fronte alla città di Modena si coltivano lambrusche, uve rosse, che danno vini speziati, odorosi, spumeggianti per auree bollicine, qualora si versino nei bicchieri”. Nel 1770 si ebbe un’importante innovazione tecnica per la conservazione di questo vino frizzante: l’introduzione di una particolare bottiglia, denominata borgognona, caratterizzata da un vetro resistente e spesso, e del tappo di sughero tenuto fermo con uno spago, per evitare che saltasse a causa della pressione dell’anidride carbonica prodotta dalla rifermentazione degli zuccheri ancora presenti nel vino.
Nel 1867 Francesco Aggazzotti, prezioso descrittore anche dell’aceto balsamico, propone una prima suddivisione esauriente delle tre tipologie prevalenti dei vitigni coltivati (il lambrusco della viola o di Sorbara, il lambrusco Salamino, il lambrusco dai graspi rossi), dai quali si ricaveranno tutti i vari tipi di lambrusco.
Nella prima metà del Novecento il lambrusco era un vino decisamente secco, e la sua schiuma, proprio come per lo champagne, era prodotta mediante una seconda fermentazione in bottiglia. Con l’avvento di nuove tecnologie nel campo vinicolo, in particolare con l’introduzione del metodo Charmat, la produzione aumentò notevolmente dai primi anni ’60. Nel ventennio successivo ebbero una forte crescita le vendite all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, dove il lambrusco arrivò a rappresentare circa il 50% dei vini italiani importati e venne promosso come una specie di …Coca Cola italiana.
Negli anni ’90 la produzione ebbe una svolta dal punto di vista qualitativo, abbandonando la tendenza quantitativa. Si tentò di ritornare alle origini del lambrusco, più secco e consistente e meno dolce. L’Emilia, considerata non a torto la terra delle bollicine, ha moltiplicato le cantine che, al passo con i tempi in termini di innovazione tecnologica, hanno fatto vini frizzanti e spumanti col metodo Martinotti per conquistare sempre più il mercato internazionale, cercando di identificare le proprie cantine con prodotti di grande eccellenza e che potessero diventare competitivi a livello nazionale, anche fuori dai confini della regione dove sono prodotti. Il lambrusco è un vino dai colori intensi, profumi fragranti, bevibilità e grande freschezza, anche se la tendenza degli ultimi anni, come si diceva, è quella di identificare sempre più in modo dettagliato il territorio e produrre vini che siano espressione sempre più puntuale della singola cantina. La numerosa famiglia dei lambruschi comprende diverse varietà di vitigni: salamino, grasparossa, sorbara, marani, maestri, montericco, viadanese e oliva, con caratteri a volta piuttosto differenti, ma sempre prevalentemente utilizzati per produrre vini frizzanti e spumanti.
Qualche consiglio per le visite
In base ai consigli del Consorzio, ecco qualche consiglio per un giro enoturistico nella zona del Modenese. Due cantine a sud e due cantine a nord, vicine tra loro, che si possono visitare facilmente in due mattine consecutive.
Manicardi
Siamo sulle colline di Castelvetro, regno del Grasparossa, a 300 metri sul livello del mare, terreni di medio impasto, tendenzialmente argillosi, 35 ettari di cui 20 a vigneto per una produzione di 80 mila bottiglie (Italia 90%, estero 10%). La storia della cantina inizia nei primi anni Ottanta grazie a Enzo Manicardi ed è giunta alla seconda generazione con Maria Livia che guida l’azienda con lo stesso entusiasmo e dedizione spiegando: “Sono molto orgogliosa di poter trasmettere insieme alla mia famiglia un messaggio di continuità e soprattutto di amore per le nostre origini”. Tra i prodotti va segnalato il cavallo di battaglia Vigna Ca’ del Fiore. E tra gli spumanti il brut rosè Fabula e il Manicardi Brut. Un omaggio al fondatore è il lambrusco biologico Enzo, una citazione merita anche l’Amabile (per il fine pasto).
Oltre che per questi vini l’azienda Manicardi vale senz’altro una visita per la splendida acetaia. A Modena la tradizione dell’aceto balsamico si perde nei secoli. Le prime tracce risalgono all’anno Mille e sono ben documentate poi dal periodo rinascimentale. Una “pozione” prelibata, rara e costosa, dalle virtù terapeutiche. Un patrimonio conservato gelosamente che faceva parte dell’eredità tramandata di generazione in generazione. Custodito nelle “batterie” delle botti, dalla più grande alla più piccola, l’aceto balsamico tradizionale è ospitato nei sottotetti dove la grande escursione termica permette nei rigidi inverni il riposo e la decantazione, d’estate la fermentazione e l’evaporazione. Anno dopo anno, l’aceto ha il tempo di maturare e l’affinamento lo arricchisce di aromi e profumi, sempre più intensi ed evocativi. Infine anche il tipo di legno crea sfumature di gusto differenti. Un consiglio se volete acquistarlo: il più pregiato e l’unico che attraversa il lunghissimo processo di produzione nelle “batterie” di botti è l’Aceto Balsamico Tradizionale, tutelato dal Consorzio che ne controlla tutte le fasi e la conservazione nelle acetaie. Si riconosce facilmente (anche se non si è addetti ai lavori) perché si vende solo nelle piccole bottiglie firmate da Giugiaro. Un ottimo prodotto, a prezzi più accessibili, è comunque anche l’Aceto Balsamico di Modena IGT.
Tenuta Galvana
Sempre nelle vicinanze del bellissimo paesino di Castelvetro, c’è la Tenuta Galvana. Fondata nel 1974 dalla passione di Marino Leonelli e Bruna Donini, si estende su una superficie collinare (180 metri slm) di circa 13 ettari. Vitigni (Grasparossa e Pignoletto) di circa 50 anni in agricoltura biologica (dal 2018), con attente pratiche agronomiche sostenibili, permettono di vinificare ottimi vini con un bilanciamento fra tradizione e innovazione. Vengono utilizzati il metodo Charmat e l’Ancestrale oltre al metodo classico. La particolarità della tenuta è anche la presenza di un bosco popolato da api che costituisce un grande patrimonio naturale. Nella degustazione abbiamo provato il cavallo di battaglia e pluripremiato Ca’ Imperatore, il Rosa Bruna (rosè Dop), e il lambrusco Igp Ancestrale prodotto con l’omonimo metodo che fa parte della storica tradizione di queste parti.
Garuti
Lasciamo le colline a Sud di Modena e ci dirigiamo a Nord, entrando nel regno del Sorbara. La Cantina Garuti è una delle aziende leader della zona, basta dire che a novembre del 2020 ha festeggiato i 100 anni di vita. Furono Dante Garuti e la moglie Valentina a fondare l’azienda appunto nel 1920, nella quale entrarono poi i figli Romeo ed Elio. Negli ultimi decenni la cantina si è ampliata raggiungendo i circa 30 ettari di vigneti. Si aggiungono un’acetaia per la produzione anche in questo caso dell’Aceto Balsamico Tradizionale e dal 1993 anche un agriturismo: otto camere con vista sui vigneti e un ristorante con i piatti della tradizione modenese (per la pasta la sfoglia tirata ancora a mano!). La cantina comprende anche un museo con alcune stanze arredate con antichi oggetti di famiglia e una interessante raccolta di foto che racchiudono la storia passata attraverso le varie generazioni. Oggi l’azienda è “in rosa” ed è guidata da due sorelle: la tradizione e i forti legami parentali emergono anche dai nomi dei vini dedicati ai familiari. In degustazione abbiamo provato Elio (Bianco Spumante Brut, un Pignoletto Dop), Valentina (Rosato Spumante Brut, Lambrusco di Sorbara Dop) e Gioia (spumante rosato extra-dry, Lambrusco di Sorbara Dop).
Divinja
La cantina, nata con questa denominazione nel 2009 (l’azienda agricola esiste dagli anni ’80), dispone di cinque ettari e mezzo (60% Sorbara e 40% Salamino). Più un ettaro di uve bianche suddiviso in 75% Pignoletto, 20% Trebbiano, 5% Malvasia. Divinja, guidata da Denis Barbanti, lavora solo con prodotti naturali e lieviti selezionati e imbottigliano solo quando occorre il prodotto: “I nostri Lambruschi, sia Sorbara che Salamino, li produciamo esclusivamente in purezza per valorizzare i vitigni stessi. Per la straordinaria qualità dei vini che produciamo grazie al nostro impegno e alla nostra passione, Cantina Divinja è stata riconosciuta dalla guida di Decanto come Migliore Cantina dell’Emilia 2024”. In degustazione abbiamo provato Rosae (Spumante Brut, Lambrusco di Sorbara Doc), Unico (Spumante Brut, Lambrusco di Sorbara Doc), e Sigillo (Spumante Brut – metodo classico – Sorbara in purezza).
Cavicchioli
La storia delle Cantine Cavicchioli comincia nel secolo scorso, nel 1928, quando Umberto Cavicchioli decide di produrre vino. Da allora, di padre in figlio, di generazione in generazione, l’esperienza e la passione si sono tramandate negli anni fino a rendere il marchio Cavicchioli un punto saldo e noto nel mondo del Lambrusco Modenese. Oggi come allora la produzione Cavicchioli avviene nelle sedi originarie di Sorbara a San Prospero (sempre a Nord di Modena). La figura di spicco è Sandro Cavicchioli: dopo alcune proficue esperienze di marketing, è entrato nell’azienda di famiglia a San Prospero, dove è rimasto anche dopo l’ingresso della Cavicchioli nel gruppo Cantine Riunite. Tutt’ora riveste l’incarico di responsabile dello stabilimento di produzione ed imbottigliamento e della cantina di pigiatura e trasformazione delle uve a Sorbara. Di rilievo il ristorante “Foresteria Cavicchioli”, un’osteria fondata sull’abbraccio tra sapori storici e sperimentazione moderna, un’orchestra sinfonica del gusto diretta dallo Chef Nicola Pini. In abbinamento coi piatti del pranzo abbiamo provato lo spumante Blanc de Blancs (Pignoletto Dop), la famosa Vigna del Cristo (Sorbara in purezza-Doc) più volte premiato con i Tre Bicchieri del Gambero Rosso e il Col Sassoso (Grasparossa Doc).
Casali Viticultori
Da ultimo facciamo un salto a Reggio Emilia. L’azienda è nata nel 1900, quando Giuseppe Casali decise di trasformare la sua produzione familiare in una vera e propria attività. Dalla sede originaria a ridosso dell’antica Rocca dei Boiardo di Scandiano, si è trasferita negli anni ’80 nell’attuale sede a Pratissolo di Scandiano. Alla fine del 2014 la cantina Casali Viticultori è entrata a far pare del Gruppo Emilia Wine, nato dall’unione di tre cantine storiche del territorio ovvero Cantina di Arceto, Cantina Sociale di Correggio e Cantina Sociale Prato di Correggio. Più di 700 soci coltivano circa 1870 ettari di vigneto tra il fiume Po, la Via Emilia e l’Appennino.
Tra i vini di Casali Viticultori va segnalato un classico senza tempo che è sicuramente il Lambruscone, il classico lambrusco dell’Emilia che non passa mai di moda definito anche “L’emilianità allo stato puro”. Ma anche il Pra di Bosso storico, un Lambrusco reggiano secco, nato dalla selezione dei migliori vigneti di collina dove crescono le varietà di Lambrusco che compongono il blend Pra di Bosso: Lambrusco salamino, Lambrusco Maestri e Malbo Gentile. Vincitore di numerosi premi e riconoscimenti ha ottenuto, tra l’altro, la Medaglia d’Argento al Concorso Mondiale di Bruxelles nel 2022. Un fuoriclasse si è rivelato infine il Migliolungo, un Lambrusco Rosso dell’Emilia Igp, nel quale si fondono, in un blend unico, le 21 varietà di lambrusco provenienti sia da lambruschi “dimenticati” che dai vitigni storici reggiani.
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