Lo chef Torrente: vi svelo i segreti della colatura di alici
di Maria Mattina
I Romani ne facevano grande uso in cucina. Il garum era una salsa liquida ottenuta dalla fermentazione dei pesci conservati sotto sale interi, con tutte le interiora, che conferivano alla salsa un sapore molto deciso, per stomaci forti, diremmo oggi. Simile al garum, ma più economico in quanto ottenuto più velocemente dai pesci in salamoia ma eviscerati, era la muria, quello che potremmo affermare poter essere il vero antenato della odierna colatura di alici.
In particolare la colatura di alici di Cetara è prodotta appunto nel piccolo borgo marinaro di Cetara, sulla Costiera amalfitana. La fonte scritta più sicura del modo di preparare la colatura di alici si trova nel Disciplinare della Regione Campania che regola la prestigiosa qualifica di prodotto DOP.
Alle alici, appena pescate, vengono rimosse la testa e le interiora, vengono quindi tenute per 24 ore in contenitori con abbondante sale marino. Sono quindi trasferite in piccole botti di castagno o rovere (dette terzigni), alternate a strati di sale, e ricoperte da un disco di legno sul quale sono posti dei pesi, via via minori col passare del tempo. A seguito della pressione e della maturazione del pesce, affiora del liquido in superficie che viene rimosso. Questo liquido fornisce la base per la preparazione della colatura di alici. Viene infatti conservato in grossi recipienti di vetro ed esposto alla luce diretta del sole che, per evaporazione dell’acqua, ne aumenta la concentrazione. Dopo circa quattro o cinque mesi, tipicamente quindi tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, tutto il liquido raccolto viene nuovamente versato nelle botti con le alici, e fatto lentamente colare attraverso un foro, tra gli strati di pesce, in modo da raccoglierne ulteriormente il sapore. Viene infine filtrato attraverso teli di lino, ed è quindi pronto per gli inizi di dicembre.
Dal 2003 la colatura di alici di Cetara è Presidio Slow Food mentre dal 2018 è la prima DOP italiana di un prodotto trasformato di mare.
Abbiamo incontrato il “re” della colatura di alici, lo chef Pasquale Torrente, del ristorante Al Convento di Cetara, che è stato ospite alla Foresteria Planeta di Menfi per una cena a quattro mani con il brillante resident chef Angelo Pumilia (due forchette del Gambero Rosso). A fare gli onori di casa, cordiale e attenta, Francesca Planeta, responsabile di Planeta Estate (tutto il sistema dell’hospitality e delle varie strutture turistico-alberghiere di Planeta) e ideatrice della serata. Nello squisito menù con gli abbinamenti dei vini Planeta (tra cui un Cerasuolo di Vittoria 2011!), la parte del leone è andata al “duello” tra i famosi e indimenticabili “Spaghetti con colatura di alici tradizionale di Cetara Dop” di Torrente e le stuzzicanti e alternative “Mezze maniche con colatura di alici di Sciacca e pomodoro Kamarino” di Pumilia (che ha ricordato con un sorriso le sue origini saccensi).
“La colatura di alici di Cetara DOP – spiega Torrente – è un esaltatore di sapidità che utilizzo in cucina non solo per i primi piatti, ma a 360°, in quanto ritengo che la vera cucina sia quella “circolare”, quella dove i prodotti possano essere utilizzati sempre e comunque. Diffidate, però, dalle imitazioni perchè, così come esiste un solo aceto balsamico tradizionale di Modena, con diversi invecchiamenti, ma sempre prodotto seguendo un rigido Disciplinare, così la vera colatura di alici di Cetara è quella che segue le rigide norme dettate dalla DOP Campania”.
Un prodotto di nicchia, dunque?
“Non direi, semmai dovremmo parlare delle caratteristiche uniche di questo prodotto e di quanto possa essere concentrato. Si va da una lavorazione che richiede un minimo di 6 mesi fino ad arrivare a 12, 18 e persino 24 mesi. Dopo tutto questo tempo si ottiene un prodotto di altissima concentrazione e bontà, per cui ne basta veramente poco per esaltare i piatti”.
Il mare ci restituisce sempre meno pesci...
“Questo è il principale problema. Dopo aver saccheggiato senza pietà e senza regole restrittive il Mediterraneo, ed in particolare il mare campano, soffriamo di una diminuzione notevole del pescato. I fermi biologici, inoltre, non hanno fatto altro che premiare alcune specie a danno di altre, e le acciughe, ahimè, sono tra quest’ultime e se ne pescano sempre meno”.
Se dovesse dare un consiglio ai giovani e a coloro che vogliono intraprendere questo mestiere?
“Credo che la cosa principale sia quella di fare un passo indietro ed essere onesti intellettualmente. Il cliente si è stancato dell’esasperazione della cucina e vuole essere stupito con la semplicità. Per ottenere però un ottimo risultato, bisogna cucinare con ingredienti di altissimo livello”. Ed è così che anche un semplicissimo piatto di spaghetti in bianco con olio e colatura di alici può inebriare i sensi. “Basta con le mode effimere, la rucola, la tartare di tonno, il sushi e il sashimi, il cliente vuole tornare a mangiare cibo locale di buona qualità”.
L’Italia è il paese dove la maggior parte dei ragazzi si sposta dal sud al nord per studiare e, poi, per lavorare. Cosa potrebbe metter fine a questo esodo?
“Abbiamo avuto il culo di nascere in Italia, dove in ogni piccola realtà esistono eccellenze e prodotti meravigliosi. Se penso a Napoli, alle sue grandi sartorie artigianali, ai grandi ceramisti, all’arte presepiale, solo per citare alcune possibilità di lavoro, allora credo che il coraggio dei nostri giovani consista non nel partire, ma nel restare per continuare tradizioni di grande artigianalità riconosciuta in tutto il mondo”.
Lei viene considerato il “re” della colatura di alici di Cetara, perchè?
“Ho sempre cercato di esaltare con i miei piatti i prodotti locali, della mia terra, ed avendo a disposizione una eccellenza come la colatura di alici, perchè non avrei dovuto darle il risalto che merita?”
E a proposito delle bellezze gastronomiche dell’Italia e purtroppo della inciviltà degli italiani (che mangiano ogni tipo di cibo spazzatura), Torrente conclude citando una famosa frase di Eduardo: O presepe è bell, song’ ‘e pastur’ ca fann’ schif’. Il presepe è bello, sono i pastori che non sono buoni. Anzi, fanno proprio schifo…
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