In un libro tutti i segreti della cucina arabo normanna
di Maria Mattina
Un viaggio nel tempo con un invito a cena alla corte dei re normanni. E’ questa l’inebriante sensazione che si prova leggendo l’interessante e documentatissimo saggio di Anna Martellotti “La cucina normannoaraba alla corte di Guglielmo II di Sicilia. Indagine storico-filologica sui ricettari Normanni”, edito da Leo S. Olschki, 2024.
Il volume, grazie a una approfondita indagine storico-culinaria sui “Normanni” (si chiamano così due preziosi ricettari conservati nei codici trecenteschi della British Library di Londra), evidenzia la derivazione arabo persiana nelle preparazioni e imbandigioni della cucina siciliana, che venne adeguata al gusto dei conquistatori nordici francesizzati, in un’isola che conservava ancora le tracce del passato musulmano. Circolava già allora in Sicilia una cultura meticcia, un melting pot che si esprimeva anche a tavola come in tanti altri campi: dopo la conquista, gli arabi sconfitti erano ben accetti sia ai fornelli che nei lavori artigianali. Come dimostrano i monumenti dell’epoca a partire dalla cattedrale di Palermo (e i restanti capolavori oggi protetti dall’itinerario Unesco). Le maestranze arabe si posero al servizio dei re normanni con la loro tecnica e abilità, i cuochi arabi allo stesso modo adattarono le loro ricette ai gusti dei conquistatori. E molti piatti sono giunti fino a noi, dalla cassata alle arancine, al biancomangiare: ecco che il gusto del viaggio nel tempo si arricchisce di pagina in pagina, man mano che si procede alla lettura del volume.
Tornando ai ricettari “Normanni”, il saggio colloca la loro redazione alla corte di Guglielmo II di Sicilia intorno al 1177, anno del matrimonio con Giovanna, figlia di Enrico II d’Inghilterra. In occasione delle nozze, le raccolte di ricette e saperi volute da Guglielmo II giunsero in Inghilterra e da lì si diffusero all’Europa intera.
E’ l’origine storica della sontuosa cucina arabo-normanna, ricca di piatti colorati e speziati, sovrabbondanti di zucchero, che deliziavano la tavola di Guglielmo II. Brodetti e stufati, gnocchi e ravioli, arancine di carne e frittatine imbottite, tortine ripiene, frittelle morbide e frappe, gelatine e salse di accompagnamento, biancomangiare e gelo di frutta. La voluttuosa gastronomia normannoaraba viene dapprima esportata in Inghilterra, mentre nel meridione d’Italia la grandiosa trattatistica di Federico II aggiunge ancora qualche piatto arabo. Sul principio del Trecento le nuove vivande hanno già invaso l’intera Europa, e alla fine del secolo i due grandi trattati regali, Forme of cury e Viandier, sanciscono la definita affermazione di una cucina europea unitaria, colorata, speziata e inzuccherata.
Nei secoli i ricettari sono giunti fino a noi, rimanendo nella tradizione anglosassone e del sud Italia, restituiti dal prezioso lavoro di Martellotti in tutto il loro gusto. L’autrice, filologa, già professore associato presso l’Università di Bari, si interessa da tempo di gastronomia medievale (Libro di buone vivande, Fasano, Schena, 1991), con particolare attenzione ai contatti con il mondo arabo (Il Liber de ferculis di Giambonino da Cremona, Fasano, Schena, 2001) e alla prima cucina italiana (I ricettari di Federico II, Olschki, 2005).
Il volume ci restituisce non solo le ricette dalla loro preparazione originale alle varie trasformazioni subite per adeguarsi al gusto delle popolazioni nordiche e non musulmane (dalla Testa di Turco ai ravioli, dalle lasagne al pandispagna, dai brodi alle salse, dai budini alle frittate, dagli spezzatini ai brasati, passando dalle spezie e i dolciumi), ma descrive e raccoglie tutte le testimonianze scritte che danno traccia di questi cambiamenti e delle trasformazioni verbali nelle diverse lingue.
Per fare un esempio, pochi sanno che il termine lasagna deriva dal sostantivo arabo lauzinaj (da lauz ‘mandorla’), un dolce di mandorle tagliato in rombi secondo la modalità più semplice per suddividere senza sprechi una schiacciata rotonda, come è tuttora usuale per analoghi prodotti dolciari. Nel Meridione d’Italia si assiste però ad una importante trasformazione culinaria, in quanto il taglio a losanghe caratteristico dei dolcetti di mandorla viene esteso alla sfoglia di farina ed acqua, e nasceranno così le lasagne di pasta fresca da lessare in acqua e incaciare, ricetta saldamente attestata nella cucina sveva.
Il testo dimostra anche la derivazione diretta di tutte le specialità descritte nei ricettari “Normanni” dalla tradizione culinaria araba, individuando nella manualistica dei paesi islamici ricette ben documentate e minuziosamente descritte, che coincidono nelle modalità di preparazione. L’opera che ha consentito più precisi riscontri è il “Libro di cucina” di al-Warraq, databile alla metà del X secolo, l’unico ricettario a nostra disposizione anteriore ai “Normanni”, ridondante compendio della fastosa cucina dei califfi di Bagdad, che si era frattanto diffusa per tutto l’Islam raggiungendo la Spagna e chiaramente anche la Sicilia, quando venne a farne parte integrante di quell’impero.
Questo della Martellotti è quindi un volume originale, completo e dettagliato che descrive le ricette, le loro trasformazioni e la cucina normannoaraba di Sicilia nel suo complesso. Tratta della genesi ma anche dello sviluppo della gastronomia tardomedievale europea e restituisce pure (in coda al volume) il testo tradotto dei ricettari NormannoA e NormannoB. Un lavoro imperdibile per chi vuole conoscere in modo scientifico e dettagliato le origini della cucina europea e l’evoluzione che questa ha avuto dalle sue origini arabe. Ma anche per tutti i curiosi che vogliono intraprendere un viaggio nel tempo. E quasi sedersi alla tavola imbandita dei re normanni, tra profumi e sapori di un’epoca che – dopo la lettura – ci appare anche meno lontana da noi.
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