In libreria “Padre Pino Puglisi. Un leone che ruggisce di disperazione”
«Sono passati trent’anni dalla sera del 15 settembre 1993, quando il caro don Pino
Puglisi, sacerdote buono e testimone misericordioso del Padre, concluse tragicamente
la sua esistenza terrena proprio in quel luogo dove aveva deciso di essere “operatore di
pace”, spargendo il seme della Parola che salva, che annuncia amore e perdono in un
territorio per molti “arido e sassoso”, eppure lì il Signore ha fatto crescere assieme il
“grano buono e la zizzania (cfr Mt 13, 24-30)». Sono queste le parole che,
nell’imminente anniversario, con una lettera indirizzata all’arcivescovo di Palermo, S. E.
mons. Corrado Lorefice, Papa Francesco ha voluto rivolgere alla memoria del parroco
siciliano freddato a bruciapelo dalla criminalita organizzata proprio la sera del suo
cinquantaseiesimo compleanno, nel quartiere Brancaccio di Palermo (in cui lui stesso
inaugurò il Centro “Padre Nostro”), e beatificato il 25 maggio del 2013.
Per la ricorrenza, proposto dal Gruppo editoriale Il Pozzo di Giacobbe
(www.ilpozzodigiacobbe.it/padrepinopuglisi), esce in libreria “Padre Pino Puglisi. Un
leone che ruggisce di disperazione”, curato da Augusto Cavadi e padre Cosimo
Scordato.
Nel trentennale del brutale assassinio, custodito in 176 pagine attraverso una
narrazione attentamente documentata, rigorosa e fruibile nel registro comunicativo,
viene dunque offerto un inedito profilo di don Pino scritto da due testimoni che lo hanno
personalmente conosciuto: uno studioso del fenomeno mafioso e un teologo cattolico
che provano, in una sorta di dittico, a rileggere il “caso Puglisi” in prospettiva costruttiva,
secondo una lettura critica fra Chiesa cattolica e mafia. Ossia, cosa possono fare le
agenzie educative per contribuire a disarmare il sistema di dominio mafioso e a svelarne
definitivamente le radici culturali ed etiche.
La mafia ha “rispettato” la Chiesa nella misura in cui essa non ha messo in discussione
il suo controllo del territorio ed il prete, tutto casa e chiesa e promotore di processioni, è
colui che “campa e fa campari”. Tuttavia, spiegano gli Autori, don Pino è venuto allo
scoperto, ha scelto di uscire dalla sagrestia e di vivere fino in fondo le difficoltà, i rischi e
le speranze della sua gente. «Pur dovendo fronteggiare anche sul piano emotivo le
provocazioni che aveva subìto – evidenzia don Scordato -, lui non indietreggia dinanzi
all’escalation mafiosa. Piuttosto, da un lato cerca di tenere lontano tutte le persone che
potevano trovarsi esposte a pericoli, ritrovandosi insieme con lui nei momenti critici;
dall’altro lato egli resta al suo posto a portare avanti il suo ministero con regolarità,
senza alcun suo allontanamento dal territorio parrocchiale».
Un ulteriore “sguardo” rende la pubblicazione particolarmente originale. Alle spalle di
ogni cadavere vittima di mafia si cercano difatti, giustamente, gli esecutori materiali e i
mandanti. Ogni delitto di mafia, però, ha una terza categoria di colpevoli: i mandanti
inconsapevoli, quale categoria sociologica fatta da tutte le persone che per non correre
rischi personali preferiscono vivere nel «puzzo del compromesso». Un compromesso
che padre Pino Puglisi non ha voluto accettare, fino a sacrificare la propria vita in
quell’angolo di mondo che lo ha visto nascere e promuovere il bene
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