Firriato vince la sfida degli spumanti sull’Etna
di Maria Mattina
L’Etna è il re dei trend vinicoli degli ultimi anni.
La scoperta (o riscoperta) di un terroir particolarissimo ha reso i vitigni sul vulcano richiestissimi e quasi tutte le principali cantine si sono impiantate sulle pendici o hanno dato nuovo impulso a tenute magari trascurate.
Allo stesso modo, negli ultimi tempi il mondo degli spumanti in Sicilia ha avuto uno sviluppo notevolissimo, nonostante una lavorazione impegnativa, complessa e molto lunga. Si sa, noi siciliani siamo nati stanchi. Eppure, quando ci diamo un obiettivo con convinzione, riusciamo sempre benissimo e oggi – pensate un po’ – facciamo il panettone meglio dei lombardi e grappe che non hanno niente da invidiare a quelle venete.
Tutta questa premessa per dire che una tenuta sull’Etna, un progetto ambizioso sugli spumanti e un’azienda gestita da manager e tecnici di qualità hanno portato a un prodotto unico e di eccellenza: la linea Gaudensius di Firriato. Il top di gamma che è anche l’ultimo nato – il Pas Dosè – e i suoi “fratelli” sono stati presentati al Charleston di Mondello da Federico Lombardo di Monte Iato, chief operating officer, nell’ambito di una cena curata negli abbinamenti dal nuovo chef del ristorante, Gaetano Verde, e dallo storico sommelier Giorgio Dragotta.
Firriato è stato fra i primi grandi brand siciliani ad arrivare sull’Etna, cimentandosi con la viticoltura di montagna e testando un contesto pedoclimatico particolare con delle specifiche peculiarità del suolo.
Il progetto imprenditoriale etneo prese forma all’inizio degli anni ’90 e da allora, vendemmia dopo vendemmia, Firriato ha valorizzato sia il terroir etneo sia le varietà endemiche del luogo. Le uve vengono vinificate presso la nuova cantina di Cavanera, inaugurata nel 2019 nel cuore della Riserva, lungo il versante nord del vulcano. Dalla vendemmia alla selezione manuale delle uve fino alla vinificazione, la cantina con le sue tecnologie eco-sostenibili consente di valorizzare integralmente le caratteristiche del terroir del vulcano, nel pieno rispetto dell’habitat naturale circostante. E accanto alla Cantina è stato poi inaugurato un incantevole resort.
Dal punto di vista ambientale Lombardo di Monte Iato ha infatti illustrato gli importanti traguardi raggiunti da Firriato che, per volere dei proprietari, la famiglia Di Gaetano, opera in regime di agricoltura biologica certificata: l’ultimo è il premio Vitivinicoltura sostenibile (Guida Vini d’Italia 2021 del Gambero Rosso). A testimonianza di un’azienda diventata la prima in Italia certificata a impatto zero. Presentato anche un progetto di riforestazione al quale possono partecipare tutti tramite l’iniziativa di adottare (con un Qr code) uno degli alberi piantumati da Firriato. Sette le tenute viticole, che vanno dall’agro di Trapani (5) all’isola di Favignana e a questa appena citata sull’Etna per un totale di 470 ettari complessivi.
Ed eccoci al “Pas Dosè”. Il terroir etneo con il suo mesoclima e i suoi suoli sabbiosi di origine vulcanica offre le condizioni ideali per l’allevamento del Nerello Mascalese. Questo vitigno, endemico del vulcano, si concede naturalmente alla spumantizzazione ed al metodo classico: la linea “Gaudensius” è un simbolo della ecletticità di questa varietà e delle qualità che porta in dote.
Il “Pas Dosè” è al suo debutto con 6 mila bottiglie frutto dell’annata di prima vendemmia 2017 (contrada Verzella a Castiglione) e 48 mesi di affinamento in bottiglia sui lieviti. Tiene fede al suo nome: il termine “pas dosè” fa parte della terminologia in lingua francese riferita alla produzione dello Champagne, adottata anche per gli spumanti metodo classico. Significa “non dosato” cioè, in parole povere, dopo la fase della sboccatura al vino non viene aggiunto zucchero, risultando così essere l’espessione più autentica del territorio di provenienza. Il Pas Dosè di Firriato ha infatti solo 2 gr di zucchero per litro (valore medio dichiarato). Giallo oro pallido con spuma cremosa, particolarmente fine ed evanescente, all’olfatto è complesso e armonico con ricordi di fiori bianchi ed è ricco di note di frutta secca e pane tostato. Austero al palato nella piena eleganza, spicca per sapidità e persistenza. Da notare la chiusura acida di ribes in note agrumate.
Al Charleston è stato servito in abbinamento con due antipasti: mormora (in Sicilia conosciuta come aiola), ravanelli ed erbe spontanee; tonno, ventresca di tonno e spinacino.
Gli altri accattivanti Gaudensius serviti sono stati il Blanc de noir Etna Doc e il Rosè Brut Etna Doc (entrambi Nerello Mascalese) e il Blanc de Blancs Brut (Carricante).
La serata è stata anche l’occasione per presentare il nuovo chef del Charleston di cui viaggiarteecucina.it ha scritto in anteprima: ecco il link.
Gaetano Verde, palermitano, è tornato nella sua città (dove ha frequentato il liceo Umberto) per raccogliere la sfida della riapertura dello storico ristorante (lo scorso 27 aprile). Giovane talentuoso, ha un curriculum che è una stratificazione di esperienze europee tra Londra e Parigi: lui traduce le sue molteplici ispirazioni in tecnica e consistenze, ma parla tanto di terra e mare, di custodi e valorizzatori della sua amata Sicilia. Da provare il menù degustazione Mediterraneo. Il prodotto arriva direttamente dai pescherecci di Mazara del Vallo. La decisione di acquistare in barca garantisce di poter lavorare sempre con la prima scelta. La provenienza del pesce, pescato in prossimità di stagni e saline, garantisce un prodotto sapido, gustoso e con uno iodio pronunciato.
Il servizio sempre accurato in sala, il sommelier Giorgio Dragotta e l’affabilità della proprietaria Mariella Glorioso garantiscono il livello di qualità e il rispetto della tradizione nella villa liberty di Viale Regina Elena, 37 a Mondello.
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