Il nuovo menù di Bottura: inganni e sorprese per i sensi
di Maria Mattina
“Con quella bocca può dire quello che vuole”: in un Carosello tv degli anni Sessanta Enzo Garinei proferiva questa battuta rivolta alla bellissima Virna Lisi e alle sue labbra. Con quel nome – diremmo noi oggi – e con quella carriera, Massimo Bottura può fare quello che vuole. Può farti scoprire il caviale in un cono gelato capovolto, metterti sotto il naso dei ravioli che sembrano fette di mortadella, servirti un sontuoso controfiletto, con sopra la glassa fumée, che in realtà è creato con le melanzane. E chiudere un menù degustazione da 14 portate con una auto-citazione del suo celebre Camouflage (2012), mimetico come la tuta di un soldato o un paesaggio autunnale che scolora dal verde al marrone. Il mito che racconta e celebra se stesso.
Affascinante e provocante, allo stesso tempo adulatorio e sperimentale, il Maestro scardina il menù e lo ricompone, costringe il cliente a rimettersi in gioco, a dubitare dei suoi sensi: quel che vedi corrisponderà a quanto il palato ti comunicherà? E fino a che limite fidarsi dell’olfatto? Ad ogni piatto l’asticella sembra alzarsi, in un barocco alternarsi di sorprese e di contrasti in bocca, con quella “rottura del confine tra il dolce e il salato” che gli è tanto cara: è dello chef il fin la meraviglia.
Bottura (classe 1962), tre stelle Michelin dal 2012 con la sua Osteria Francescana nel cuore del centro storico di Modena, all’apice della carriera non ha da temere i critici e le critiche. Né chi lo vorrebbe avanguardista come nei primi anni, né chi gli vuole comunque affibbiare un’etichetta o classificarlo. Non deve dimostrare più nulla, non deve temere altro che cominciare a sentire il peso di un talento unico che lo ha reso il testimonial più conosciuto della cucina italiana: il suo ristorante nel 2016 e 2018 è stato giudicato il migliore al mondo nella lista dei “The World’s 50 Best Restaurant”, prima volta per un nostro connazionale. Il New York Times Magazine lo ha inserito tra i 28 geni creativi della Terra. Firma i menù di locali da Istanbul a Dubai. All’Osteria Francescana, 12 tavoli, aperta nel 1995 sulle ceneri di una piccola osteria modenese in via Stella 22, ha aggiunto Casa Maria Luigia (12 camere con piscina e orto). Per entrambi le prenotazioni si aprono sei mesi prima: l’ultimo click day è stato il 1° ottobre 2021 per aprile 2022.
Una cena all’Osteria, dopo il restyling del 2020, è ancor di più una avventura estetica per la presenza di una serie di opere d’arte moderna alle pareti, scelte dallo chef e dalla moglie. Ma attenzione anche a dove mettete i piedi: sul pavimento c’è un incredibile rivestimento, una simil-moquette realizzata in 3D dal celebre designer Marcel Wanders: avanza scura fino alle sale dove esplode in mille colori, richiamando i quadri, a contrasto coi toni pastello delle pareti. Apparecchiatura elegante ma sobria, così come l’ingresso dove solo una piccola targa sulla stradina ricorda dove siete (per il resto ci pensano i turisti, prodighi di selfie sul marciapiedi). Completano l’atmosfera argenterie lucidate a dovere, bicchieri col nome del Maestro in trasparenza sulla base, un servizio di ceramiche da urlo, firmato da Richard Ginori in esclusiva per lo chef.
L’impeccabile Beppe Palmieri, maestro di sala e sommelier (classe 1975, partito da Matera come cameriere e umilmente lo racconta), assicura una guida affabile ai clienti osannanti e spaesati, coadiuvato dalla giovane brigata.
Ma Bottura non è solo un Re Mida che ha trasformato il cibo in oro: è anche un filantropo e nel 2016 ha lanciato “Food for soul”, un’iniziativa contro gli sprechi alimentari e per il recupero delle eccedenze che si è sposata con l’esperienza dei “Refettori”, gestiti per i poveri in Italia ma anche a Rio de Janeiro, Londra, Parigi. Uno dei suoi figli è affetto da un raro disturbo psicofisico e a Modena lo chef ha creato “Il Tortellante”, un progetto per impegnare i giovani affetti da forme di autismo.
Per la ripartenza 2021, oltre al menù alla carta, c’è un solo menù degustazione, chiamato (dal titolo della canzone dei Beatles): “With a little help from my friends”. Si tratta di una serie di proposte, lunga 14 portate, che prendono spunto da chef di oggi o del passato, i cui piatti più famosi vengono omaggiati e rivisitati (pressoché totalmente) da Bottura. Un sapiente e meticoloso viaggio nella cultura gastronomica italiana degli ultimi decenni.
Ma, state in guardia, il menù cambia in continuazione e con lo stesso titolo nel 2020 si trovava invece una serie di piatti ispirati ognuno a una canzone dei Beatles. La suspense è quindi garantita, anche perché non trovate informazioni o liste da consultare sul sito dell’Osteria.
In concreto, sono quasi tre ore di un’esperienza sensoriale assoluta, improntata alla massima finezza, di eleganza e pulizia estreme, pur utilizzando ingredienti di qualità assoluta ma di natura comune (eccezion fatta per il caviale che compare due volte e il gambero rosso).
Ed è proprio il crostaceo principe della marineria di Mazara il protagonista di “Volevo essere fritto”, piatto-encomio iniziale per l’amico Ciccio Sultano e il suo Duomo bistellato di Ragusa Ibla (una creazione del 2010).
Unito nell’avvio della cena con Il Wafer si veste d’oro (Giancarlo Perbellini 2003) – sarete salutati con un Ciao –
e la Minestra di Pane (Fabio Picchi 1979).
Subito seguiti da La Cipolla fondente (sfoglia con parmigiano e cipolla) ispirata a Salvatore Tassa 1990.
L’asticella si alza con Insalata di spaghetti al caviale, omaggio al piatto di Gualtiero Marchesi del 1985 (verdure, pasta di seppia, caviale, miso di spaghetti – Non c’è quindi pasta!).
E raggiunge uno degli apici con l’arrivo delle citate Capesante ripiene di mortadella (Fulvio Pierangelini 2005): ravioli di capesante e mortadella, chowder di finocchio, mela marinata. Una visione onirica in cui la mortadella a fette è una illusione. Ma mica tanto perché poi la ritrovate nel ripieno!
Il Controfiletto del San Domenico (Nino Bergese 1975) vi rivelerà la sua essenza mimetizzata: melanzana, glassa fumée e salsa alle erbe (non c’è quindi carne!).
Altra sorpresa con titolo ingannevole, Savarin di riso (Mirella Cantarelli 1960): chawanmushi di parmigiano, lingua, spugnole, fagiolini, zucchine e fondo di funghi (non cercate quindi il riso!).
Seguono Faraona alla Creta (Mirella Cantarelli 1963) & Risotto alla Bergese (Nino Bergese 1974): faraona ripiena di pane e frattaglie con fondo bruno filtrato infuso con riso tostato.
Germano ripieno di Anguilla (Igles Corelli Trigabolo 1985): anguilla, pelle croccante, spinaci, rafano, marasche e aceto balsamico Villa Manodori).
Budino di Cipolla (sempre di Igles Corelli, 1983): créme caramel di foie gras e lapsang souchong, cipolle caramellate, chantilly di zenzero, meringa.
Zuppa fredda di carbonara (Gianfranco Vissani 2020): crema inglese al pepe, guanciale, banana, gelato di pecorino, caviale. Qui la fusione di dolce e salato raggiunge il top! E troverete il caviale ben nascosto…
Tortelli di zucca (Famiglia Santini Dal Pescatore): patata dolce al forno a legna, mostarda, limone, vaniglia, burro, profumo di caffè. Il primo (o presunto tale) che diventa dolce in omaggio a uno dei più famosi ristoranti italiani (nei pressi di Mantova)!
Infine i dolci finali in unica portata: Riso Oro e Zafferano (Gualtiero Marchesi 1981); Cannolo (Corrado Assenza 1983, secondo omaggio alla Sicilia); Babà (Gennaro Esposito 1994). E in chiusura il già citato Camouflage di Bottura dove il foie gras si sposa col cioccolato.
In uscita dal locale il gradito dono di una boccetta di aceto balsamico di Modena.
Quando ricevette la laurea ad honorem all’università di Bologna, Bottura ebbe a dire: “Mi sono avvicinato all’arte contemporanea e ho capito che l’estetica di quello che vediamo non è importante, ma la parte fondamentale è il pensiero che c’è dietro. Il taglio di Fontana non è bello in quanto tela bianca con uno squarcio, ma è affascinante perché c’è un’ossessione dietro. In questo senso la cucina è vicina all’arte: l’ossessione per la qualità degli ingredienti è uguale all’ossessione della qualità delle idee”.
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