L’avocado mette radici in Sicilia: record di qualità e produzione
di Maria Mattina
Alzi la mano chi non ha mai mangiato un avocado, che sia stato in un toast o in un’insalata, oppure nella famosa salsa guacamole o in uno dei piatti orientali come il pokè bowl. Dal sapore delicato, quasi neutro, si presta ad essere utilizzato in piatti salati e dolci ed è ricco di grassi vegetali buoni, compresi gli Omega-3, e di proteine vegetali.
La coltivazione di frutti tropicali negli ultimi anni ha avuto un incremento notevole in tutti i paesi del mondo e in Italia, ad oggi, sono oltre 500 gli ettari dedicati a queste colture, con la Sicilia che si afferma come la regione leader per superfici e produzioni. Tra i frutti tropicali che negli ultimi anni hanno avuto più successo, l’avocado è certamente in cima alla lista grazie alla sua versatilità di utilizzo nell’alimentazione moderna. Viene inoltre considerato un “superfood”, poiché costituto da un’elevata percentuale di acidi grassi insaturi (85%), come l’acido oleico (9g/100g) e linoleico (1,7g/100g), di fibre alimentari. Inoltre è povero di zuccheri ed è una buona fonte di proteine, nonché di vitamine (soprattutto C, B5, E) e di minerali (in particolare il potassio).
La coltivazione dell’avocado, il cui nome botanico è Persea americana Mill, ha origini che risalgono a circa 5.000 anni fa negli altopiani del Messico e, nonostante sia una pianta di origine tropicale, si è adattata a una vasta gamma di climi e di suoli tale da presentare, oggi, una grande diversità genetica. Benché sia coltivato principalmente in zone tropicali e subtropicali, in Europa si è diffuso prevalentemente in Spagna e in Italia, dove il trend della produzione è in continua crescita, soprattutto per quanto riguarda la Sicilia: molte aree dell’Isola si mostrano particolarmente vocate per questa coltura e l’avocado si è diffuso a partire dagli anni Settanta.
La sua versatilità gastronomica concorre al suo successo, che però ha un prezzo. Non economico, ma ambientale, perché le coltivazioni di avocado in America centrale e meridionale spesso hanno un’impronta negativa sull’ecosistema. Visto il successo planetario del frutto, infatti, aree vastissime del Messico e del Perù, per citarne solo due, sono state convertite a questa coltura; lo sfruttamento intensivo del suolo si accompagna spesso a un uso scriteriato di pesticidi e sostanze chimiche, fino ad arrivare al prosciugamento di interi corsi d’acqua per garantire la massiccia irrigazione di cui questa pianta necessita, soprattutto in alcune fasi della sua crescita.
Il guadagno non tiene conto del disastro ecologico provocato dalle vaste monocolture intensive che hanno effetti devastanti sull’ecosistema. Bisogna, inoltre, considerare l’impatto ambientale legato ai lunghi trasporti verso i mercati europei con elevate emissioni di CO2 che innalzano l’impronta carbonica di questa coltura. Le coltivazioni in questi paesi sono tutt’altro che sostenibili, hanno un impatto devastante sulla fauna locale e costi ambientali, derivanti da imballaggi e trasporto, molto elevati. Basti pensare che per arrivare in Italia un chilo di avocado messicano percorre 10.200 km, per circa un totale di 18,5 kg di anidride carbonica emessa in atmosfera.
Per tutte queste ragioni, il mercato oggi tende a valorizzare molto il prodotto locale: Tuttavia, per coprire la domanda che è spalmata nell’arco di tutti i mesi dell’anno, il mercato è costretto a fare ricorso all’offerta dei paesi esportatori. Il calendario di Italia e Spagna permette di raccogliere frutti da novembre ad aprile e non copre, ad esempio, il periodo estivo durante il quale la richiesta è sempre elevata. Un consumo più responsabile dovrebbe essere orientato ad una maggiore attenzione alla provenienza dei frutti e alla loro stagionalità.
– Quale soluzione ci può essere per un consumo consapevole di un cibo che “costa” troppo in termini di sostenibilità ambientale? Ne abbiamo parlato con Vittorio Farina, docente di Frutticoltura Tropicale e Subtropicale all’Università di Palermo.
“Occorre trovare alternative sostenibili al consumo incondizionato e irragionevole di cibo che viene trasportato per migliaia di chilometri e viene raccolto molto prima di raggiungere la giusta maturazione. Per quanto riguarda l’avocado, noi italiani abbiamo una grande fortuna: complice il riscaldamento del clima, nelle nostre regioni meridionali è possibile coltivare questo frutto. Forse non tutti sanno, infatti, che l’avocado è coltivato in diverse regioni dell’Italia meridionale, fra cui Calabria e Puglia. Ma tra tutte, è la Sicilia la regione in cui la vocazione all’avocado sta crescendo a ritmo più sostenuto.” E continua il professore: “Proprio qui già negli anni Sessanta iniziarono i primi studi sulla sua coltivazione. Un’attenzione che nel tempo ha permesso di accumulare una conoscenza robusta su questa coltura che negli ultimi anni si è espansa notevolmente, complice una richiesta da parte del mercato che – ci dicono diversi produttori – talvolta supera addirittura l’offerta.”
Molti degli imprenditori agricoli che stanno puntando sull’avocado sono giovanissimi. Fra questi c’è Andrea Passanisi, una laurea in Giurisprudenza nel cassetto e una grande passione, l’agricoltura. Nella zona di Giarre, vicino a Catania, la sua Sicilia Avocado ha ottenuto la certificazione per l’agricoltura biologica e gli ettari dedicati al frutto tropicale sono un centinaio (il brand riunusce 16 produttori). Da giovane imprenditore ha intuito le potenzialità dell’e-commerce che oggi vanta 18.000 mila utenze registrate attive, con le donne che la fanno da padrone e un mercato che è internazionale. “Molti imprenditori stanno trasformando le proprie coltivazioni in colture tropicali anche a causa della crisi degli agrumi», sottolinea il docente di frutticoltura, evidenziando come “le scelte spingano anche verso il mango e il litchi”.
La stessa tendenza è confermata anche da Andrea Passanisi: “Ho cominciato a coltivare avocado nei primi anni 2000 e già in quel periodo chi aveva limoneti si accorgeva delle prime difficoltà dal punto di vista commerciale”. Oggi, secondo l’agricoltore, chi si avvicina ad altre colture lo fa in parte per frustrazione e in parte per cercare alternative.
– I coltivatori vengono dunque spinti dai mancati guadagni a modificare le proprie coltivazioni?
“Spesso chi ha cominciato a coltivare avocado allarga i suoi interessi anche ad altri frutti tropicali”, spiega Vittorio Farina, e aggiunge: “Si tratta di una coltura che richiede specializzazione perché la pianta nel nostro clima ha un comportamento diverso rispetto a quelle che vivono in climi tropicali”.
– Vista la grande richiesta, la maggior parte dei produttori siciliani di questo frutto si è orientata verso l’esportazione. C’è il rischio di dover rinunciare al prodotto locale?
Il professor Farina spiega: “I prezzi sono più elevati e la qualità del frutto siciliano viene molto apprezzata. Le destinazioni estere degli avocado siciliani sono principalmente: Olanda, Svizzera e Germania. L’avocado siciliano non subisce la concorrenza degli altri paesi produttori internazionali perché ha trovato un posizionamento di mercato ben definito, basato su elevati requisiti di qualità e arriva sul mercato europeo in pochissimo tempo. A questo si aggiunge una gestione agronomica e post raccolta attenta e rispettosa dell’ambiente”.
– Di che tipo di trattamenti necessitano le piante di avocado?
“ Le coltivazioni siciliane di avocado non hanno bisogno di uso massiccio di pesticidi – sostiene il docente Vittorio Farina – Questo perché, come spesso accade nei casi in cui una coltura viene portata in un luogo diverso da quello in cui si trovava in origine, in Italia sono pochi gli avversari naturali che la pianta deve fronteggiare rispetto a quelli presenti in America. Gli unici due antagonisti che deve affrontare sono semmai il freddo – a pochi gradi sotto lo zero, le piante muoiono – e il vento. Il problema principale è il clima: non si può coltivare ovunque. In Sicilia ho visto molti impianti morti. Gli impianti che invece hanno attecchito bene e producono ottimi frutti sono localizzati nelle aree vocate, nella zona del Catanese, del Messinese, del Palermitano, principalmente le più vicine alle coste”.
– Perchè in una regione come la Sicilia, dove si incontrano ancora realtà che nei mesi più caldi lamentano problemi di siccità, si punta su un frutto che richiede tanta acqua?
”L’impronta idrica si può ridurre con l’irrigazione particolare, di precisione, che consente di risparmiare molta acqua – spiega Vittorio Farina – inoltre è significativo che gli imprenditori stiano selezionando con cura i terreni in cui coltivare l’avocado, molti dei quali si trovano in prossimità di alture – Etna e Nebrodi in testa – e in zone climatiche molto piovose. Nella zona del Catanese, ai piedi dell’Etna, per esempio, si trova un microclima che consente all’avocado di crescere con un ridotto impatto idrico, uno degli aspetti più criticati di questo frutto”.
– C’è differenza in termini qualitativi tra i frutti di avocado “imported” e quelli “born in Sicily”?
“E’ stato effettuato un lavoro di laboratorio nel quale è stato possibile mettere a confronto la qualità dei frutti di avocado coltivati in Sicilia e quelli importati. I risultati ottenuti evidenziano per i frutti raccolti in Sicilia valori più elevati del contenuto di sostanza grassa, di alcune vitamine e minerali rispetto a quelli importati, indicando nell’avocado isolano un frutto ricco di componenti dall’alto valore nutrizionale.
Se in passato nella scelta dell’acquisto dell’avocado veniva trascurato un aspetto che non è assolutamente da considerare secondario, ovvero la provenienza e quindi il sistema di conduzione della filiera e il suo impatto sull’ambiente, il consumatore, oggi, è più informato su queste tematiche, ad esempio l’impronta di carbonio prodotta dal trasporto dei prodotti o l’ingerenza dei cartelli criminali che sono nati dietro alle coltivazioni di avocado nei paesi tropicali. Le argomentazioni sopra descritte potrebbero paradossalmente spingere il consumatore ad evitare il consumo di avocado mentre, oggi, l’alternativa è quella di privilegiare il consumo di un frutto che sia più sostenibile, come è quello siciliano, rispettandone la stagionalità ed informandosi sulla provenienza del frutto.
Il modello di coltivazione siciliano – prosegue Farina – è ben diverso da quello dei paesi sudamericani. Gli impianti di avocado dell’isola vengono gestiti in modo da garantire le buone pratiche agronomiche riducendo il ricorso a pesticidi e altri interventi chimici, avvalendosi anche di tecniche di agricoltura biologica. L’irrigazione, inoltre, viene effettuata con impianti a goccia per evitare lo spreco di acqua. I frutti vengono sempre raccolti a mano e a differenza di quelli importati non devono attraversare lunghi tragitti per arrivare al consumatore finale. Gli avocado siciliani, inoltre, vengono raccolti quando completano la loro evoluzione fisiologica in pianta e questo rappresenta un vantaggio, sia in termini qualitativi che nutrizionali. In tutti i casi, la nostra ricerca mostra che scegliere un avocado siciliano non è solamente un’alternativa sostenibile ma anche una scelta vincente in termini di qualità organolettica e nutrizionale.”
Il consiglio è quindi di acquistare l’avocado siciliano nel giusto periodo di maturazione e farne l’uso che preferite a ogni ora del giorno: va bene per la colazione in stile americano con il toast e l’uovo, ma anche a pranzo nell’insalata, all’ora dell’aperitivo come guacamole per i nachos. O, per chi ha gusti più light, in un frullato con il melone. Infine a cena è perfetto con un filetto di salmone. A voi l’imbarazzo della scelta.
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