L’Altarolo di Elsheimer torna per tre mesi a Palazzo Pitti
Da martedì 19 aprile fino al 30 luglio, la Galleria delle Statue ospita il Polittico della Santa Croce di Adam Elsheimer.
L’opportunità di ammirare l’opera è resa possibile in occasione del prestito di due opere di Pontormo della Galleria Palatina allo Städel Museum di Francoforte; grazie allo scambio, i visitatori di Palazzo Pitti potranno vedere l’opera di Adam Elsheimer.
L’altarolo, che fu in antico nelle collezioni di Cosimo II dei Medici, sarà esposto con un corredo didattico che ne illustrerà la storia, la sua dispersione e la sua ricomposizione messa a punto sulla base di documenti di archivio.
La mostra temporanea dell’opera è a cura di Matteo Ceriana e Anna Bisceglia ed è inserita nel percorso museale comprendente la Galleria Palatina e la Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti.
“Il prestito del capolavoro di Elsheimer, pittore tedesco che si stabilì in Italia per amore del paese e della sua arte – afferma Eike Schmidt, Direttore delle Gallerie degli Uffizi -, è un ottimo esempio di una politica di prestito virtuosa con uno dei musei più rinomati dell’Europa transalpina”. QUATTRO SECOLI DI STORIA
Il piccolo altarolo, composto di dipinti su rame argentato con le Storie della Vera Croce montati entro una cornice architettonica (ora perduta), è ricordato già dai contemporanei come opera di grande qualità compositive e sottilissima esecuzione; ricordiamo le lodi, non disinteressate d’altra parte, del pittore Agostino Tassi, l’approvazione del cardinal Dal Monte, la menzione nel Discursos praticabiles del nobilisimo arte del pintura dello spagnolo Jusepe Martinez (scritto nel 1625). L’opera è elencata nell’inventario redatto dopo la morte dell’artista nel 1610. Il dipinto passò in seguito nella collezione romana dello spagnolo Juan Peréz nella quale lo vide Agostino Tassi proponendone l’acquisto al Granduca Cosimo II de’ Medici appassionato collezionista anche di piccole, preziose opere fiamminghe.
Come si evince dai documenti, l’insieme arrivò a Firenze dopo il 1619 e il 19 maggio 1626 l’opera risulta registrata nell’inventario di corte. Entrato successivamente nelle collezioni dei duchi di Arundel, forse per un dono o uno scambio, il tabernacolo fu smembrato nei secoli seguenti e i pannelli divisi finirono in varie collezioni inglesi.
Già in possesso di alcune parti dell’opera, nel 1981 lo Städelmuseum di Francoforte riuscì ad acquistare l’ultimo pezzo mancante, riunendole poi tutte in una cornice che riproduce la struttura dell’originale desunta da un disegno dell’epoca conservato nell’Archivio di Stato di Firenze.
Il pannello centrale raffigura l’Esaltazione della Croce in un consesso celeste popolato di santi ed angeli, mentre sullo sfondo, in un virtuosistico gioco di luci, è incoronata la Vergine. L’abile orchestrazione cromatica e la straordinaria sapienza compositiva derivano all’Elsheimer più che dalla formazione presso il pittore e incisore francofortese Philip Uffenbach, dal suo soggiorno veneziano dove poté studiare Tintoretto e Veronese e infine anche da contemporanei modelli romani. Esistono, fatto piuttosto eccezionale per l’artista, disegni preparatori per l’opera.
Lo sportello centrale è fiancheggiato da sei tavole che illustrano la scoperta miracolosa e la restituzione dell’autentica croce di Cristo secondo la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, composta nella seconda metà del XIII secolo. In essa si narra che Costantino aveva inviato sua madre Elena a Gerusalemme per cercare la vera croce di Cristo e proprio da tale episodio inizia il ciclo delle tavolette laterali ed inferiori del tabernacolo: procedendo dall’alto a sinistra in senso antiorario, si incontrano la partenza di Elena, l’interrogatorio dell’ebreo, il ritrovamento della croce e la resurrezione di un giovane defunto. Gli ultimi due pannelli hanno come protagonista l’imperatore bizantino Eraclio; per quanto riguarda il programma iconografico, che in alcuni dettagli diverge dalla Legenda Aurea, si può supporre che vi abbiano contribuito anche personaggi contemporanei quali l’umanista e filosofo fiammingo Justus Lipsius e l’erudito cardinal Cesare Baronio.
L’opera, caratterizzata da un’estrema finezza compositiva tipica dell’artista, presenta al tempo stesso soluzioni che evidenziano un confronto attento con la vivace scena artistica romana dell’inizio del primo decennio del Seicento, dove lavoravano anche pittori nordici come Peter Paul Rubens, Paul Brill e Cornelis van Poelenburgh.
A causa del formato minuto, e considerata anche la primitiva storia, è probabile che l’opera fosse destinata all’uso privato.
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