“Un capolavoro per Venezia”

Giovanni Bellini, "L'ebbrezza di Noè", ca 1515
Share

Il progetto “Un capolavoro per Venezia” apre al Museo Correr le celebrazioni del cinquecentenario della morte di Giovanni Bellini (Venezia 1430 ca. – 1516), indiscusso ‘padre nobile’ della pittura veneziana e protagonista del Rinascimento italiano, con la presentazione de L’ebbrezza di Noé (Ivresse de Noé), uno dei suoi più eloquenti capolavori, ospitato dal 5 marzo al 18 giugno nella Sala delle Quattro Porte, vicinissimo ad altri suoi caposaldi pittorici posseduti dal Correr.
L’evento, progettato sotto la guida scientifica di Pierre Rosenberg e con la collaborazione dell’Alliance Française, ha come essenziale generoso partner il Musée des Beaux-Arts et d’Archéologie di Besançon, che dal 1895 custodisce nelle sue raccolte l’opera, probabilmente l’ultima dipinta dall’anziano ‘patriarca’ della pittura veneziana nel 1515, a lui attribuita definitivamente nel corso del ‘900 dopo una discussione critica durata quattro secoli.
Ritorna dunque a Venezia questo che è indubbiamente uno dei quadri più rappresentativi, ma forse anche il più sorprendente, dell’intera produzione pittorica di Bellini. 
Questi, definito nel 1506 da Dürer come «molto vecchio, ma ancora il miglior pittore di tutti», stava allora affrontando nuovi soggetti in una serie di pitture, tra cui l’Ebbrezza di Noé, l’unica ispirata all’Antico Testamento.
Tratto dalla Genesi (9.18-27), il tema evoca l’episodio in cui Noé, ubriaco per aver bevuto molto buon vino della sua vigna, si è addormentato nudo. Suo figlio Cam lo ritrova assopito, ride nel vedere ciò che i Greci chiamavano le “parti vergognose” e chiama i fratelli che, sopraggiunti, vogliono coprire l’anziano padre. 
Per l’irrispettosa irrisione Noé maledirà e condannerà alla schiavitù Cam e la discendenza di suo figlio Canaan. Questo dramma familiare fu dagli esegeti interpretato come il ripristino di un ordine gerarchico tra i sopravvissuti al diluvio purificatore, causa e giustificazione della futura disuguaglianza tra gli uomini che discendono dai tre fratelli.
La tela è una sorta di ‘testamento visivo’ dell’anziano pittore che, abbandonato il proprio mondo quattrocentesco, si proietta coraggioso e sicuro dentro il Cinquecento, mostrando chiaramente di volersi avvicinare allo stile innovativo e, soprattutto, alla poetica interiore del suo discepolo Giorgione, morto prematuramente nel 1510. 
Infatti, l’intensa espressività psicologica dei tre fratelli intorno alla figura di Noé, resa con le sottili fusioni e cromatiche e le vibrazioni di tocco di una estrema libertà di pennello, per lui finora inusitata, conferisce a questo dipinto le inconfondibili qualità di atmosfera e soffuso intimismo che Bellini, pur al capolinea della propria lunga e sfolgorante carriera, dimostra di aver voluto e saputo assimilare dalla ‘rivoluzione’ del giovane allievo Giorgione; per giunta, essendo ancora capace di inventare un’interpretazione iconografica e narrat iva nuova, su di un tema biblico alquanto raro.
Per celebrare la figura di Giovanni Bellini nel cinquecentenario della morte tutta la città di Venezia si è coordinata in un programma che, insieme alla Fondazione Musei Civici di Venezia, coinvolgerà nel corso dell’anno la Fondazione Giorgio Cini, il Polo Museale del Veneto, le Gallerie dell’Accademia, il Patriarcato di Venezia e la Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per Venezia e Laguna in una serie di eventi che prevedono itinerari in città e nelle chiese, un convegno, due conferenze al museo Correr e altre iniziative espositive.
“Un capolavoro per Venezia” vedrà di volta in volta ritornare in Laguna capolavori dell’arte veneziana tra ‘500 e ‘800 poco conosciuti dal pubblico italiano, provenienti specialmente da musei stranieri.

Share

Leave a comment

Your email address will not be published.


*