Elliot Ackerman, “Prima che torni la pioggia”
In libreria dal 26 febbraio, Prima che torni la pioggia rappresenta appieno l’impatto che decenni di guerra – a partire dall’occupazione sovietica negli anni ’80 – hanno avuto sulla popolazione afghana. Allo stesso tempo si struttura come una sorta di tragedia antica sui sentimenti di violenza e vendetta che consumano famiglie e tribù, generazione dopo generazione. Scrivendo dal punto di vista afghano, Elliot Ackerman racconta l’odio e la tragedia della guerra con un atto sorprendente di empatia e immaginazione, creando un romanzo lirico e di una potenza tale da essere paragonato da alcuni critici americani a Per chi suona la campana.
Aziz e il fratello maggiore Ali vivono in un villaggio afghano, sotto le imponenti montagne dell’Hindukush. Una famiglia povera, ma piena di amore. Un giorno qualunque tutto cambia: il giorno dell’irruzione nel villaggio di un gruppo di uomini armati. Unici scampati al tremendo attacco, i due ragazzini trovano rifugio in un orfanotrofio. Ali decide di assumersi le proprie responsabilità di fratello maggiore e di mandare Aziz a scuola con quei pochi soldi che riesce a guadagnare. Ma gli uomini armati stanno per tornare e per colpire di nuovo. Una bomba talebana esplode nella piazza del mercato e Ali rimane sfigurato. In ospedale Aziz incontra un suo compatriota in uniforme dell’esercito statunitense e scopre l’esistenza della Special Lashkar, una milizia afghana alleata a coloro che aveva sempre considerato nemici. È l’unica via per regalare al fratello una vita degna di essere vissuta. NonAfghan più ragazzo e non ancora uomo, Aziz decide di unirsi alla milizia. Sarà un viaggio dentro un conflitto brutale e assurdo, in cui faticherà a trovare il suo posto.
Elliot Ackerman, classe 1980, è figlio di Peter Ackerman, uomo d’affari newyorkese, e della scrittrice Joanne Leedom-Ackerman. Ha passato otto anni nell’esercito statunitense, sia come soldato semplice sia come ufficiale di operazioni speciali. Croce di bronzo al valore militare, veterano decorato per la seconda battaglia di Falluja, che lo spinse a scrivere: «L’11 novembre 2004 è il giorno in cui ho smesso di credere in Dio». Più recentemente ha servito la Casa Bianca nel Governo Obama. Attualmente vive a Istanbul con la moglie e i due figli; si occupa come giornalista freelance della guerra civile siriana. I suoi saggi e articoli sono apparsi su The New Yorker, The Atlantic, The New Republic e The New York Times Magazine.
Leave a comment