La fortezza di Masada e l’orgoglio di Israele
Nel I secolo d.C. a Gerusalemme si respirava un grande clima di attesa messianica e si combatteva per la libertà del popolo ebreo. Parte dei seguaci di Gesù lo vedevano come un possibile leader di una rivoluzione armata. Un capo politico che avrebbe liberato gli ebrei dalla schiavitù romana. Tra questi seguaci, probabilmente, vi era lo stesso Giuda Iscariota e alcuni dei cosiddetti zeloti, una frangia integralista. Quando costoro compresero che gli obiettivi di Gesù erano ben altri, lo tradirono e lo abbandonarono alla croce.
Anche dopo la morte di Cristo, la voglia di ribellione e di libertà andò gonfiandosi. Scontri e sangue macchiarono i decenni successivi. Fino a portare alla prima guerra giudaica che culminò con la distruzione totale del secondo Tempio di Gerusalemme da parte dei Romani (oggi è rimasto in piedi solo uno dei terrapieni di contenimento, conosciuto col nome di Muro del Pianto). Dopo che il Tempio fu distrutto e Gerusalemme data alle fiamme, parte dei patrioti in rivolta fuggì a Masada, una roccaforte creata dal re Erode il Grande, il secolo prima, su uno spuntone di roccia a 400 metri sul livello del Mar Morto.
Qui i ribelli con le loro famiglie riuscirono a resistere per oltre due anni, mentre circa diecimila soldati romani li circondavano, disposti in una serie di accampamenti di cui ancora dalla cima si scorgono le rovine (su questo assedio si veda anche il bel film con Peter O’Toole intitolato appunto Masada).
Il re Erode aveva costruito Masada come residenza fortificata personale sfruttando la cima piatta dello sperone roccioso. C’era una splendida sala per le feste, rotonda, che dava sul precipizio, terme, grandi cisterne e depositi di armi e di viveri. Il luogo ideale per resistere. L’unica via d’accesso, chiamata il “sentiero del serpente”, veniva bersagliato dall’alto e reso inaccessibile.
Racconta lo storico Giuseppe Flavio che gli zeloti assediati si facevano beffe dei soldati che scoppiavano di fatica sotto il sole, facendosi vedere sulle mura mentre bevevano acqua e vino. I Romani vennero a capo dell’assedio trovando un escamotage: costruirono una rampa fortificata, accostata in un punto debole delle mura, sotto la quale fecero avvicinare gli arieti per sfondare le protezioni esterne.
Il finale di questa storia è drammatico: nella notte precedente all’ultimo assalto il migliaio di ebrei assediati decise e organizzò un suicidio di massa che non ha paragone nella storia tranne, con numeri molto inferiori, il caso della base giapponese di Okinawa assediata dagli americani durante la seconda guerra mondiale.
Quando i Romani penetrarono nella fortezza trovarono solo cadaveri. Sopravvisse solo qualche bambino nascosto in una cisterna d’acqua.
Nei secoli più recenti, l’episodio di Masada diventò così uno dei simboli dell’orgoglio e della fierezza del popolo ebreo e di conseguenza dello Stato israeliano, tanto che nel giuramento pronunciato dai militari ancora oggi c’è la frase “Masada non cadrà più”.
La fortezza è oggi un museo all’aperto all’interno di un’area naturale protetta. Si raggiunge in un paio di ore di bus dal porto di Ashdod (non dimenticate cappellini e scorte d’acqua). L’ascesa allo sperone di roccia si compie con una spettacolare funivia. All’interno le parti meglio conservate sono le terme e ancora si scorgono i colori vivaci, pompeiani, delle pareti interne.
Un modellino ricostruisce come doveva essere la fortezza duemila anni fa. Il panorama dalla cima è a dir poco affascinante e le sensazioni di meraviglia sono accentuate dai colori e dalle forme del Mar Morto sottostante (che in realtà è un grande lago salato): il luogo nel mondo più sottomesso rispetto al livello del mare.
Lo sguardo che attraversa le zone desertiche color ocra incontra anche l’azzurro in lontananza delle acque: si forma così una visione onirica, quasi un miraggio, che difficilmente si dimenticherà.
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