GROENLANDIA LA TERRA DEI GHIACCI AI CONFINI DEL MONDO
(Antico detto vichingo tratto dalla raccolta Hàvamàl all’incirca anno 800 dopo Cristo)
La Danimarca però mantiene ancora il controllo su finanze, politica estera e difesa e provvede ad un sussidio annuale (circa 3,4 miliardi di corone, pari al 30% del PIL). In sostanza senza gli aiuti danesi (che sono circa il 15% della popolazione che arriva in totale a circa 56 mila abitanti) l’economia della Groenlandia andrebbe in rovina. Il motivo della mancata definitiva indipendenza? Sul luogo abbiamo raccolto molte teorie: una delle quali fa riferimento agli enormi giacimenti petroliferi indicati da recenti sondaggi. Si tratterebbe di un quantitativo pari addirittura ad un terzo del petrolio posseduto dall’Arabia Saudita. Ma naturalmente per estrarlo occorrono spedizioni e trivellazioni a Nord tutte da valutare sul piano dell’impatto ambientale e della fattibilità tecnica.
La Groenlandia ha un clima polare. Da rilevare come vi siano sostanziali differenze, a causa dell’ampiezza del territorio, dalla zona più settentrionale a quella più meridionale dell’isola. La parte sud ha, infatti, un clima molto più mite rispetto alla zona interna del paese e a quella settentrionale. Nel centro della Groenlandia si verificano spesso temperature inferiori ai -60 °C. La costa ovest e sudovest rivolta al continente americano e ai venti più caldi che soffiano da esso, offre il clima più mite dell’isola. Ad agosto abbiamo avuto una temperatura diurna tra i 5 e i 10 gradi, che arrivava però allo zero nelle vicinanze dei ghiacciai.
Dalla fine del secolo scorso, a causa di una serie di estati particolarmente calde, l’estensione della superficie ghiacciata si sta gradualmente riducendo. Se l’estensione dei ghiacci groenlandesi si riducesse del tutto fino a scomparire si presume che il livello del mare aumenterebbe di 5 metri, con effetti disastrosi.
LA POPOLAZIONE
Per quanto riguarda l’avventura vichinga del 1000 d.C., essa fu facilitata dall’innalzamento delle temperature del periodo caldo medioevale, cosicché le agili imbarcazioni scandinave poterono solcare i mari del nord al riparo da numerosi accidenti atmosferici e raggiungere la “terra verde” di Groenlandia.
Nelle saghe vichinghe, si dice che Erik il Rosso venne esiliato dall’Islanda per un omicidio compiuto in seguito a una rissa. Egli, insieme alla propria famiglia e ad alcuni schiavi, partì con delle navi alla volta di una terra che si diceva fosse a nord-ovest. Giunse nell’isola e vi fondò la colonia di Groenlandia che in tempi abbastanza rapidi si espanse. I primi colonizzatori furono quindi islandesi e si stabilirono sulla punta sud-occidentale dell’isola, dove prosperarono per i secoli successivi, fino alla misteriosa scomparsa.
Attorno al 1450 iniziarono ad abbassarsi le temperature, dando l’avvio a quella che è conosciuta come piccola glaciazione: molte terre furono abbandonate, e la stessa Islanda parve sul punto di soccombere. Le ossa ritrovate risalenti a questo periodo mostrano una condizione di forte malnutrizione. L’abbassamento delle temperature si è potuto ricostruire tramite lo studio degli strati di ghiaccio prelevati nell’isola. La piccola era glaciale, secondo questa tesi, costrinse i Vichinghi ad abbandonare la Groenlandia e l’ultima notizia scritta riguarda una festa di nozze celebrata il 16 settembre 1408 nella chiesa di Hvalsøy. Solo le fondamenta della chiesa ricordano oggi la vita rurale dei Vichinghi. Sopravvissero invece anche a questa glaciazione le popolazioni inuit, più avvezze ai rigori del gelo e dei sei mesi della notte artica.
Per gli Inuit, l’esistenza è un grande gioco a scacchi contro la natura: l’abilità offre le migliori opportunità, ma non si può mai sapere a quale nuova mossa devi contrapporti.
Quando l’esploratore Knud Rasmussen (inuit per parte di madre) negli anni Trenta chiese ad una guida Inuit in cosa credesse, si sentì rispondere «noi non crediamo, noi abbiamo paura».
Dopo decenni di isolamento che ne hanno fatto un caso nella storia dell’antropologia, negli ultimi tempi gli inuit hanno portato avanti la battaglia per l’indipendenza con grande coraggio e come segno di riscatto dell’intera etnia. Le città di Nuuk e Ilulissat che abbiamo visitato mostrano molti caratteri occidentali (nel bene e nel male), nel profondo Nord (la zona di Thule) permangono i caratteri originari e sono state ottenute anche alcune deroghe alle leggi (ad esempio è concessa la caccia all’orso polare) per mantenere intatto un eco-sistema particolarissimo.
Di recente gli Inuit canadesi si sono uniti con quelli della Groenlandia, dell’Alaska e della Siberia per dare vita alla Conferenza Inuit Circumpolare, un organismo che si fa interprete delle preoccupazioni e degli argomenti più importanti che riguardano l’intero emisfero artico.
A pochi passi dalla scogliera un’immensa statua di granito, Mother of the Sea, una dea dai lunghi capelli che viene coperta dall’alta marea. Sempre al porto una curiosa maxi-cassetta postale per le letterine a Babbo Natale e la statua di Han Egede, il fondatore della città, che scruta tutti dall’alto.
L’altro volto di Nuuk è l’urbanizzazione all’occidentale, con tutti i suoi difetti. Ben visibili dal porto vecchio, una serie di orribili casermoni di cemento dominano infatti il lungo mare.
Tutta questa zona è facilmente raggiungibile in pochi minuti a piedi, subito dopo aver lasciato il tender alla minuscola banchina (per visitare la Groenlandia l’unica possibilità è di andare con la nave).
Dopo che la nebbia, per fortuna, si è sollevata, visitiamo da soli la cattedrale, il museo e tutta l’area, ricca anche di numerosi negozi di souvenir e bancarelle.
Abbiamo scelto di fare un’escursione in barca: si tratta di piccole imbarcazioni con dieci posti (più pilota e aiutante che parlano inglese) che conducono in un tour di circa due ore per ammirare i paesaggi del fiordo, le cascate, gli iceberg. Per i più fortunati anche l’avvistamento di qualche coda di balena che si immerge.
Nell’area vicina di Sermermiut, tra l’altro, sono stati trovati reperti archeologici di 3500 anni fa: testimoniano che questo fu uno dei più grandi centri delle tribù inuit dei Saqqaq e dei Dorset; ancora oggi gli abitanti del paese (fondato nel XVIII secolo) praticano la caccia e la pesca tradizionale. Tutta l’area del vicino ghiacciaio è patrimonio dell’umanità riconosciuto dall’Unesco.
Il fiordo principale di Ilulissat, denominato Kangerlua o anche Jakobshavn Icefjord, ospita il ghiacciaio più prolifico del mondo fuori dall’Antartico: il Sermeq Kujalleq. Da oltre 250 anni il ghiacciaio è osservato e misurato dai ricercatori del settore per comprendere lo sviluppo e avanzare nello studio delle macro variazioni climatiche mondiali. Negli ultimi 15 anni si è lentamente ritirato, facendo registrare una regressione record di quasi 5 km negli ultimi 2 anni di osservazione.
Abbiamo prenotato una escursione di hiking per il primo giorno e una in barca per il secondo. Il primo tour offre la possibilità di entrare in contatto a piedi con il fronte di questo immenso e stupefacente ghiacciaio che misura 5 km di ampiezza ma la cui parte emersa si erge nei punti più alti a ‘solo’ 80 metri dal livello del mare. Il ghiaccio, a causa delle correnti del fiordo, si frantuma contro la roccia morenica dando vita a formazioni di iceberg dalla fisionomia più mutevole e dalle dimensioni gigantesche.
Il primo giorno l’escursione è più agevole del previsto. Andiamo in bus, poi c’è da percorrere una lunga passerella di legno (circa un’ora di cammino a passo normale) che attraversa la zona della necropoli preistorica. Al termine c’è ancora un percorso di circa 40 minuti sul terreno (reso scivoloso da una leggera pioggia) che porta a superare una piccola gobba di roccia. Arrivati in alto c’è la spettacolare visione del ghiacciaio, con gli iceberg che si liberano dalla grande ‘madre’ che li partorisce con gemiti laceranti. E cominciano a navigare verso il mare formando sculture viventi, archi, decorazioni magnifiche. Non a caso la lingua inuit ha 50 parole per indicare i vari tipi di neve. Il bianco assume tutte le sfumature di cui parla Peter Hoeg nel suo ‘Il senso di Smilla per la neve’: “Lo strato di ghiaccio è stato creato in bellezza. Aspetta di riflettere un miracolo della creazione. Dal mare scuro il freddo fa spuntare un giardino di rose, un tappeto bianco di fiori di ghiaccio, formati da gocce d’acqua salata congelate”.
C’è un’atmosfera incantata che lascia affascinati, il silenzio è totale: si sentono solo gli iceberg che fragorosamente si staccano dall’ “utero”, si scontrano tra loro, cominciano il cammino nell’acqua gelida. La guida (in inglese) ci accompagna, sottolinea come l’8 giugno lì c’è stata ancora l’ultima nevicata. E spiega i vari aspetti delle formazioni cristalline che osserviamo. Poi ci porta verso una raccapricciante gola e racconta: qui le donne inuit, nei periodi di carestia, prese dalla disperazione si lanciavano nel vuoto per togliersi la vita. Il tempo di sopravvivenza nell’acqua gelida è di tre-quattro minuti.
Altro punto da non perdere è la baia di Disko, sulla scogliera davanti alla chiesetta di Zion. Qui, avvicinandosi alla costa, gli iceberg che non hanno preso il largo si sciolgono e assumono le forme più inconsuete: animali accucciati, vasi appena usciti dalle mani dell’artigiano, colonne di luce ghiacciata. Con cautela, scendo fino agli ultimi scogli e riesco ad afferrare nell’acqua gelida un pezzo di ghiaccio con le mani la pelle mi brucia come se avessi messo le dita nel fuoco. In serata un tramonto dai colori straordinari, il cielo si incendia di mille sfumature del rosso.
In paese non mancano i negozi di souvenir e i ristoranti per chi volesse approfondire la conoscenza con la carne di balena e di foca.
Il secondo giorno abbiamo l’escursione in barca intorno alle 11. Purtroppo incombe la nebbia che però dà tregua nella seconda parte del tour e lascia riscoprire le bellezze del ghiacciaio, l’innumerevole quantità di iceberg galleggianti (ricordate che la parte emersa è meno di un terzo rispetto alla grandezza totale). Per questo tour occorre coprirsi bene: la temperatura scende allo zero dai 5-10 gradi che abbiamo sempre trovato in paese. Giacca a vento e cappello di lana sono di rigore.
L’atmosfera anche in questo caso è come quella di una terra incantata: il silenzio è interrotto solo dai tonfi sordi del ghiaccio che cozza contro il metallo dello scafo. Tutto intorno pareti bianche di 70-80 metri che formano archi, spuntoni, spaccature striate di azzurro: è come vedere le Dolomiti trasferite sull’acqua.
In lingua inuit
TAIMA, QUJANNAMIIK
(è tutto, grazie)
TAVVAUVUSI
(arrivederci a tutti voi)
Racconto suggestivo, cugina. Anche noi siamo stati in Groenlandia (a Kulusuk) ma solo per un giorno! Viene voglia di organizzarsi meglio per un’escursione più completa.
Giuseppe Turdo, UK
P.S. Ottimo blog. Ho trovato qualcosa da leggere!
Grazie Giuseppe per l’ottimo giudizio del blog. Detto da te lo apprezzo ancora di più!
Ed hai ragione a dire che dovresti fare un’escursione più completa in Groenlandia: è un posto al di fuori dell’immaginario!!!!